sabato 27 ottobre 2012

GENERAZIONE SENZA STUDIO E LAVORO





- Immaginate l'Italia come un condominio, un palazzo di cinque piani. Al secondo piano c'è un ascensore, bloccato. Dentro, più di due milioni di giovani tra i 15 ed i 29 anni che non lavorano e non studiano, e se allarghiamo la fascia di età fino a 34, se ne contano tre milioni e duecentomila. In Italia sono un giovane su quattro se ci riferiamo alla prima classificazione, e uno su tre se ci riferiamo alla seconda. In totale stiamo parlando dell'11% della forza lavoro del paese tanto per farci un'idea.

Magari sono connessi con facebook, navigano nella rete e si interfacciano con altri come loro, ma produttivamente sono fermi, parcheggiati. Passano il tempo facendo scorrere le giornate e i più fingono una situazione di apparente normalità, forse per mascherare la tristezza di sentirsi improduttivi o per una mal celata dignità. Sono i cosiddetti "Neet" (Not in Education or in Employiment Training), che in italiano potrebbe tradursi Né Né, che né studiano, né sono in formazione, né lavorano. Una "generazione senza", indicata dalla Commissione Europea come uno dei principali focolai di disagio ed esclusione sociale, messa sotto i riflettori dall'Istat, dal Censis, da Italia Lavoro, tanto per citare alcuni enti che si sono occupati di censirla, di fotografarla, sempre raccontandola per quello che non fa. In maggioranza sono donne, circa il 58% del totale, vivono al Sud (nel Meridione la percentuale tocca il 32% ) con un livello di istruzione basso e alti tassi di abbandono scolastico. Ma non solo. Ci sono anche laureati, diplomati, disoccupati, e l'ultimo trend secondo i dati statistici li vede in aumento significativo anche al Centro e al Nord dove però si attestano su una media del 16%, quindi con un netto divario territoriale.

Generalmente, i Neet, vivono all'ombra delle famiglie di origine e "campano" di lavoretti episodici, scivolando giorno dopo giorno nell'autoesclusione sociale e nella rassegnazione di una vita ai margini. Sono "condannati a consumare senza il diritto di produrre" per usare un'espressione del professor Domenico de Masi, sociologo del lavoro. In questo pubblico di giovani senza, eterogeneo, per estrazione sociale, scolarizzazione e livello di occupabilità pesa più lo scoraggiamento che la difficoltà di trovare un impiego, dice il rapporto a loro dedicato da Italia Lavoro, e 1 milione e 175 mila Neet (il 57% dei giovani) sono inattivi nella ricerca di un'attività (in maggioranza donne con un alto livello di scolarizzazione), mentre il 42% è in cerca di occupazione.

In 600 mila dicono esplicitamente di non voler lavorare (tra questi il 73% sono donne) in gran parte per motivi familiari, di inabilità, di scarso interesse o perché non ne hanno bisogno. Il divario con L'Europa è determinato oltre che dai numeri del fenomeno, dal basso livello d'istruzione della popolazione giovanile italiana e dallo scarso livello di occupabilità dei laureati nel nostro paese, in particolare delle donne che hanno minore possibilità di trovare lavoro coerente con il proprio titolo di studio. La stessa Commissione Europea che un paio di anni fa aveva invitato gli stati membri a considerare come elemento cruciale per lo sviluppo socio economico la promozione dei giovani nella società e nel mondo del lavoro ha dovuto constatare recentemente con il rapporto Eurofound 2012, a cura della sua fondazione, che al paese Italia questo spreco di capitale umano costa 26 miliardi di euro l'anno (1,7 del PIL). "Una bomba ad orologeria che rischia di esploderci in mano - dice Alessandro Rosina, docente di Demografia alla Cattolica di Milano (autore del libro "Il secolo degli anziani" edito da il Mulino) perché un paese che non investe sui giovani è un paese che non cresce e perché in Italia, abbiamo un triste primato in termini di Neet, siamo secondi solo a qualche paese dell'est europeo, forse alla Bulgaria e oltretutto abbiamo pochi giovani, questo significa che abbiamo poche risorse e che le stiamo sprecando." "Inoltre - continua Rosina - l'unico ammortizzatore sociale per questa generazione è la famiglia di origine che con la crisi sta molto soffrendo e presto cederà facendo implodere i Neet come nuovi poveri, è inevitabile se non si comincia ad investire per il loro reinserimento nel mondo del lavoro". "In periodi di crisi economica i più vulnerabili sono sempre i giovani - aggiunge Ilaria Lani, responsabile politiche giovanili della CGIL - questo ha effetto sull'andamento futuro dell'occupazione ma determina anche un serio pericolo di esclusione sociale, nei primi mesi dell'anno la disoccupazione giovanile è passata dal 30 al 36% e se questi ragazzi non riescono a reinserirsi velocemente scivoleranno anche loro ad ingrossare le fila dei Neet perché non avendo politiche attive di sussidi e incentivi al lavoro o alla formazione come succede in tutti gli altri paesi, il giovane in Italia è praticamente lasciato solo o alla rete familiare. Basti pensare che tra gli under 30 che trovano lavoro il 50% lo trova grazie ad amicizie della famiglia o personali e solo il 5% grazie ai centri per l'impiego. E questo i ragazzi lo sanno, conoscono l'immobilità sociale del paese e non è un caso che stiano diminuendo anche le immatricolazioni ai corsi di laurea perché c'è un chiaro elemento di sfiducia verso gli elementi formativi che non assicurano più un lavoro." Disaffezione dunque, sfiducia, rassegnazione e infine perdita di interesse, anche nei confronti del lavoro. Articolo 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro". "Ma dove? - commenta l'ex Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni - i giovani dovrebbero fare una class action per tutti i diritti che gli hanno negato le politiche degli ultimi decenni, dovrebbero ribellarsi contro una classe politica che è la più vecchia d'Europa che gli ha consegnato un paese vecchio dove chi nasce ha già un debito pubblico che gli pesa sulla testa. Se fanno una class action, e protestano, io sono con loro."
25 settembre 2012
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