sabato 27 ottobre 2012

IL PENTITO DI WALL STREET SI CONFESSA


Le banche e gli hedge funds lo odiano perché va in giro ad aiutare avvocati e magistrati a decifrare gli aspetti più tecnici dei mercati. Nei suoi libri racconta le evoluzioni della finanza estrema, ormai lontana anni luce dall'economia reale. E nel futuro vede ancora molti guai. Anche in Europa, nonostante "Super Mario"Trent'anni passati in finanza. Come consulente ed esperto di derivati per banche, governi e società private. Poi, gradualmente, il distacco da un mondo che "somigliava sempre di più ad Alice nel Paese delle Meraviglie", solo che si giocava con le sorti dell'economia mondiale. Satyajit Das oggi vive in Australia ed è pressoché introvabile. Da quando è "passato dall'altra parte", scrivendo libri di denuncia diventati best seller, si è fatto parecchi nemici. Alle banche e ai fondi di investimento non piace quello che fa: collaborare con team di avvocati e legislatori fornendo un parere tecnico sulla presenza o meno di illeciti. Nell'ombra è coinvolto in diverse vertenze in giro per il mondo. Sa di non essere un missionario, ma considera questa sua "seconda vita" come un'occasione per contribuire al ripensamento di un modello economico che "così com'è non può più funzionare".

Nel suo libro, "Extreme Money", descrive il modo in cui la finanza ha cambiato pelle durante gli ultimi trent'anni. Quando e come il settore finanziario è diventato così potente?
"Per capirlo bisogna andare indietro di quarant'anni. Il periodo tra le fine dei '60 e l'inizio dei '70 è stato contraddistinto da una crescita molto bassa. Ci si iniziò a preoccupare di cosa stava succedendo alla crescita. Fu in quel clima che vennero eletti Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Andarono al potere non per chissà quali ideologie, ma perché avevano in mente un modello per far riprendere la crescita. Iniziò così il mito della deregulation, che nella finanza ha trovato il suo terreno più fertile. La deregolamentazione si mostrò in un certo senso efficace. La gente cominciò a indebitarsi, spesso scordandosi del rapporto tra investimenti e ricavi. Gradualmente ogni aspetto della vita divenne dipendente dal debito. Nel frattempo i protagonisti della finanza acquisirono sempre più potere: erano visti come dei "maghi", capaci di far proseguire la crescita all'infinito. Il nostro errore è stato illuderci che la deregulation fosse la formula magica. Poi ci sono diversi fenomeni che hanno contribuito alla composizione del quadro, come ad esempio, negli Usa, la privatizzazione dei risparmi personali sotto forma di fondi pensione. Ora il sistema è saltato ed è come se tutte le stelle si stessero allineando".

IL GLOSSARIO. LE PAROLE DELLA FINANZA INTERNAZIONALE

Quali sono le minacce di una finanza portata al suo estremo?
"In origine, i soldi avevano solo due scopi: come mezzo di scambio per beni reali o come deposito di valore. Ora sono diventati un mezzo per fare altri soldi. Abbiamo iniziato a usarli in un gioco autoreferenziale. Così facendo, abbiamo creato sempre più livelli nel sistema, perdendo completamente di vista il senso. Il risultato è che ci stiamo prendendo in giro da soli. Abbiamo portato la finanza al suo estremo, l'abbiamo spinta troppo lontano, tradendo l'unica vera fonte di valore: i comuni cittadini".

Sono passati quattro anni dall'esplosione della bolla dei mutui subprime. Cosa è cambiato oggi nel sistema? Possono i cittadini sentirsi più sicuri?
"C'è stato un gran mescolamento di carte, ma alla fine la situazione è rimasta la stessa. Anzi, il gioco è diventato ancora più estremo. Ora in campo non ci sono più solo le istituzioni finanziarie, ci sono anche i governi e le banche centrali. La legislazione è indietro anni luce. Prendiamo ad esempio il Dodd Frank Act, una delle leggi più buffe che io abbia mai visto. È la dimostrazione perfetta del metodo di lavoro del lobbista: dopo aver provato a rifiutare ogni forma di regolamentazione, convince il legislatore a lasciarsi aiutare, per poi creare una legge così complessa da fare acqua da tutte le parti. Ahimè, il gioco della extreme money non è cambiato e penso che non cambierà nel prossimo futuro. I nostri problemi stanno diventando sempre più seri, ma forse non ne abbiamo ancora avuto uno abbastanza grande. Potremmo aver bisogno di un evento davvero catastrofico".

Sia negli Stati Uniti che in Europa si è parlato molto della necessità di regolare in qualche modo l'High Frequency Trading. Ad oggi, però, il processo legislativo è ancora fermo "a causa della mancanza di dati certi", come ha detto Mary Shapiro della Securities and Exchange Commission. Come si esce da questa impasse? Crede davvero che l'HFT sia un fenomeno così "misterioso", pur essendo ormai dominante?
"Partiamo da due concetti. Il potere di lobbying di queste persone è sconfinato. E se non vuoi fare qualcosa, puoi trovare un migliaio di scuse per non farla. È come per il riscaldamento climatico: molti continuano a ignorare il problema dicendo che non ci sono abbastanza dati, e intanto la Terra si fa sempre più rovente. Vogliamo aspettare che ci sia una tragedia prima di dire che il sistema non funzionava bene? In generale, è molto facile capire i benefici di un'innovazione, mentre è più difficile intravederne i costi. Nel caso del sistema finanziario, i costi non sono neanche lontanamente paragonabili ai benefici. Andiamolo a chiedere ai greci o agli spagnoli, che sono stati costretti ad abbassare enormemente il loro tenore di vita".

Grazie per aver risparmiato gli italiani, malgrado i problemi della nostra economia. Cosa ne pensa dell'Italia di Mario Monti? In finanza lo conoscete piuttosto bene...
"Certo, il suo altolà a Jack Welch, ai tempi CEO di General Electric, fu memorabile. Monti è parte di un trend europeo, iniziato dalla Grecia, che ritengo molto preoccupante. Nella nuova Europa, dove le uniche a decidere sono Berlino, Parigi e Bruxelles, si è pensato che avere dei tecnocrati non eletti sarebbe stato più facile. Il guaio, però, è che ora l'Europa non ha più solo un problema di deficit economico, ma anche di deficit democratico. In una democrazia ci dovrebbe essere un po' più di confronto. Questa situazione mi fa venire in mente un concetto espresso da Voltaire: "I dottori prescrivono cure che conoscono poco a malattie che conoscono ancora meno a gente che non ne sa quasi nulla". Ecco, penso che gli economisti non stiano facendo molto meglio. Ho simpatia per il vostro "Super Mario", ma non credo che il sistema possa funzionare. Così si contiene, ma tra tre anni la bomba scoppia di nuovo. E cosa dire dell'UE, che stampa trilioni di euro, puntando tutto sull'austerità e su un buffissimo trattato di stabilità? È un meccanismo che non è sostenibile. È come avere il cancro e lasciare che le metastasi si estendano ovunque, invece di agire tempestivamente. Purtroppo, temo che l'Europa sia condannata ad avere un'economia zombie per un tempo molto lungo".

Come valuta l'operato delle agenzie di rating? Pensa che offrano rappresentazioni credibili dell'affidabilità di un Paese? In Italia, la Procura di Trani sta indagando sulla "singolare concomitanza e convergenza temporale" con cui Moody's, Fitch e Standard & Poor's hanno declassato l'economia italiana, quasi ci fosse stato un "accordo di cartello". Come commenta questa ipotesi?
Se ci fossero stati accordi o fughe di informazioni prima della comunicazione del downgrade, si tratterebbe di una questione molto seria e servirebbe un procedimento giudiziario per crimine. È un comportamento che non mi sorprenderebbe e che andrebbe punito in modo estremamente diretto. Va anche detto, però, che ora in Europa c'è la tendenza a demonizzare in maniera eccessiva le agenzie di rating, a vederle come il Male assoluto. Mi sembra un atteggiamento un po' ipocrita, visto che quando le economie europee ricevevano triple A andava tutto bene. Il rating della solvenza è molto difficile. In particolare, sfugge il senso di assegnare un punteggio a uno Stato. L'altro problema è come noi stessi utilizziamo le agenzie di rating. Ci basiamo troppo su di loro, senza guardare altro. Prima di fare un investimento, si dovrebbero considerare vari fattori. Altrimenti potrei mettere un gruppo di scimmie a premere un pulsante tripla A, e via. Bisogna fare qualcosa in prima persona per correggere il sistema e ognuno ha una parte di responsabilità, che sia per pigrizia, disattenzione o altro. Se non piace il modo in cui operano le agenzie, si potrebbe lavorare a un sistema migliore, magari basato sul no profit o gestito dalle Nazioni Unite.

Dopo tre decenni passati in finanza, lavorando per giganti come Merrill Lynch e City Group, ha deciso di passare dall'altra parte. Come è arrivato a questa scelta?
In realtà sono sempre stato un outsider. Rido molto, sono indiano e vengo da una famiglia di ingegneri. Ho fatto le scuole pubbliche, l'università e poi sono finito in finanza. Quando entrai nel banking c'era una mentalità diversa. Si parlava molto anche di cultura, ne rimasi affascinato. Poi, a cavallo tra gli anni '80 e '90, lo scenario iniziò a cambiare: le persone erano sempre più inquadrate, più ristrette mentalmente. Mi occupavo di derivati e ho visto con i miei occhi gli effetti della progressiva estremizzazione del gioco finanziario. Oggi il sistema funziona così: soggetti ricchissimi che fanno a gara a comprare/sviluppare l'algoritmo più avanzato. Il punto è che questi algoritmi non sono neutrali: agiscono come dei pugili, spiazzando gli avversari con delle vere e proprie finte pur di portare a casa un vantaggio. Non mi ritrovavo più in quel mondo e così ho deciso di fare il salto. Il prezzo è stato molto alto, sia in termini economici che di pressioni. Diciamo che non sono molto amato a Wall Street e dintorni... Ma ci sta, visto che ho deciso di mettere la mia esperienza al servizio di chi è chiamato a valutare la presenza di eventuali illeciti.

Che tipo di pressioni ha ricevuto? Come svolge la sua attività di "smascheramento degli squali di Wall Street"?

"Spiego alle persone quando ci sono gli estremi per una vertenza contro le banche. Sono coinvolto in diverse cause in giro per il mondo. Esprimo la mia opinione sulla base dei fatti. Non è compito mio dire se un soggetto ha agito nel rispetto delle leggi o meno, il mio ruolo è spiegare a chi deve decidere come sono andate le cose dal punto di vista tecnico. La mia conoscenza mi mette nella posizione di non poter essere attaccato. I miei manuali sono considerati testi di riferimento, per cui una banca non può venire da me e dire: "Non sai quello che dici". Collaboro con dei team di avvocati aiutandoli a valutare se c'è davvero un "real case". Allo stesso tempo, aiuto i legislatori a capire come stanno le cose e fare in modo che le leggi siano adeguate agli aspetti tecnici. Quanto alle pressioni da parte delle banche, ne ho ricevute di tutti i tipi: voltafaccia, minacce, tentativi di comprarmi, vere e proprie calunnie. Il punto, però, è che più fanno così più mi confermano che è giusto andargli contro. Nella vita ogni scelta ha un costo e io sono in pace con quello che faccio. Rispetto ad altre persone i miei sacrifici sono insignificanti, non penso certo di essere Madre Teresa di Calcutta. Però ho preso la lotta alla corruzione del sistema finanziario come una missione. Quando vedo qualcosa che non va, sono felice di alzarmi e dirlo a voce alta".

Nel suo libro scrive che "cambiare la finanza è come provare a cambiare gli dei". Come si fa - ammesso che sia possibile - a cambiare una divinità?
"È molto difficile. Credo sia necessario un processo a più fasi. Innanzitutto dovremo accettare che la crescita illimitata guidata dall'accumulazione di debito non può più funzionare. Poi avremo bisogno di un periodo di transizione. Bisognerà cambiare il processo di contribuzione alle campagne elettorali e sbrogliare la matassa di lobby e politica in cui ci siamo impantanati. Servirà un'infrastruttura legale basata sui principi. Prima di accingerci a un'impresa del genere, però, dobbiamo farci una domanda: vogliamo davvero la responsabilità individuale delle persone? Perché, se la vogliamo, c'è bisogno di un'alfabetizzazione finanziaria anche minima. Corsi a scuola, aggiornamento, formazione dell'opinione pubblica. E poi è inutile negarlo: a livello politico serve gente coraggiosa, qualcuno che voglia davvero cambiare le cose. Le mie aspettative per il futuro? [sorride] Sono positivo, ma non mi aspetto miracoli. Di certo sarà un periodo storico affascinante. Non facile da attraversare, ma affascinante. E questo di per sé conta già moltissimo".
20 aprile 2012
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